Descrizione
Il paesaggio in età etrusca
Al termine della stretta gola scavata dal torrente Rosia tra le colline della Montagnola, dove il paesaggio si apre nell'ariosa pianura attraversata dal fiume Merse, le prime consistenti testimonianze della frequentazione dell'uomo risalgono alla tarda età del Ferro (VIII - prima metà del VII secolo a.C.). Alcune tombe a pozzetto, alle porte del paese di Rosia, hanno restituito fibule di bronzo, tra cui due decorate con una serie di ocherelle.
Il luogo, che si trova al margine della piana e lungo una importante via naturale di comunicazione con la Val d'Elsa, probabilmente acquista maggiore rilievo nel corso dell'età arcaica, quando il controllo della viabilità appare una prerogativa delle aristocrazie rurali in gran parte dell'Etruria. A questo periodo, tra VI e V secolo, dovevano risalire i due cippi a ferro di cavallo con iscrizioni, ormai perduti, che Giovanni Antonio Pecci, erudito senese del Settecento, ricorda che furono trovati nei pressi di Malignano: probabilmente fungevano da porte dei sepolcri e ricordavano il nome del defunto. Un cippo analogo fu trovato nel 1898 non lontano, a Toiano, ancora lungo il percorso stradale che correva sulle basse pendici dei colli che contornano la Piana di Rosia ed è ancora conservato al Museo Archeologico di Siena.
Alla fine del IV secolo a.C. si assite, qui come in altre parti dell'Etruria interna, ad una diffusa "colonizzazione" delle aree a vocazione agricola, marginali rispetto ai territori dei centri urbani che nel periodo precedente anno polarizzato il popolamento. Così sui colli intorno alla Piana di Rosia fioriscono numerosi abitati: la popolazione dedita all'agricoltura ed all'allevamento sembra godere di una certa agiatezza, pur essendo in posizione subalterna. Le necropoli di Malignano, di Orgia, di Grotti e di Toiano hanno corredi dignitosi, in gran parte di produzione volterrana, che indicano la dipendenza culturale e probabilmente politica della città.
La Necropoli di Malignano
La necropoli: prima i due cippi iscritti ricordati dal Pecci, poi nel 1899 i ritrovamenti nelle proprietà della famiglia Piccolomini. Nel 1927 l'archeologo senese Ranuccio Bianchi Bandinelli descrive finalmente una necropoli di tombe a camera già depredate in antico.
Solo nel 1964 la Etruscan Foundation sotto la direzione di K.M. Philips riporta in luce 18 tombe di una necropoli ancora non interamente scavata: sono tombe a camera e a pozzetto tagliate nella roccia calcarea. Le prime hanno un corridoio di accesso (dromos) e camera circolare o rettangolare con banchine continue addossate alle pareti; le altre sono costitite da una semplice buca regolare. Solo una tomba è più monumentale e complessa delle altre: è lunga quasi 20 m. e presenta un corridoio centrale sul quale si aprono otto camere con banchine alle pareti. Sviluppo e proporzioni della tomba rimandano ai grandi sepolcreti familiari di Chiusi, e attestano la presenza di importanti gruppi familiari nel territorio di Rosia-Sovicille.
I corredi delle tombe sono costituiti da ceramiche di produzione volterrana a vernice nera, crateri a figure rosse, ceramica a vernice rossa ("presigillata"), ceramica comune e alcune monete, che consentono di datare le tombe tra il III e il II secolo a.C.. Tuttavia l'uso dell'area come necropoli deve essere iniziato probabilmente almeno nel V secolo a.C., come indicano le due stele a ferro di cavallo ricordate dal Pecci edi i pochi materiali d'età classica raccolti durante il restauro condotto dalla Soprintendenza Archeologica per la Toscana nel 1983: un "kyathos" miniaturistico di bucchero grigio ed alcuni elementi di avorio per la decorazione di cofanetti lignei, che hanno la forma di foglie e di leoncini.
L'area archeologia attrezzata è intitolata a Gino e Lea Fiorentini, genitori dei proprietari del terreno.
Informazioni
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Ultimo aggiornamento: 17 luglio 2024, 09:17